Eva Cantarella, storica e giurista esperta in storia antica, ed Ettore Miraglia, giornalista, conoscitore della storia olimpica, ci presentano le prime atlete e le donne che si sono distinte nello sport, nell’opera «Le protagoniste. L’emancipazione femminile attraverso lo sport».
Dalle fonti antiche fino ai giorni nostri si tratta di un viaggio coinvolgente, importante ed illuminante, di cui riportiamo solo alcuni nomi e storie.
Come sappiamo, le prime Olimpiadi dell’era moderna – nel 1896 – non prevedevano la partecipazione femminile in quanto il noto de Coubertin era tutt’altro che a favore delle donne sportive.
Nel 1900, alle Olimpiadi di Parigi, le donne ottennero la possibilità di partecipare ad alcune gare, ma solo quelle più “decorose” per le donne. La prima campionessa in una gara individuale fu Charlotte Cooper che vinse la medaglia d’oro nel tennis, sport alla fine tollerabile per le donne, in quanto praticato da eleganti dame.
Una maggiore apertura verso le donne non arrivò solo con il tempo e la paziente attesa, ma grazie alle continue lotte delle donne, dei continui risultati e grazie ad Alice Milliat, che diede vita alle prime Olimpiadi femminili.
Grazie a tutte queste “pressioni” le donne poterono, per la prima volta, partecipare ad alcune gare di atletica leggera nel 1928. Ma la strada era ancora lunga: ad esempio, ricordiamo che la celebre atleta Ondina Valla non poté andare, nel 1932, alle Olimpiadi di Los Angeles perché Pio XI era contrario e il Coni si piegò alla volontà papale. (Cfr. p. 65) Ondina aveva sedici anni e si rifece nel 1936 a Berlino.
Oltre ad Alice Milliat sono molte le donne ad aver contribuito ad abbattere muri, diffidenza e menzogne: come Gertrude Ederle, che dimostrò che le donne erano capaci di attraversare a nuoto il Canale della Manica, cosa che fece nel 1926. E tra l’altro batté, migliorandolo di due ore, il record dell’atleta italoargentino Enrique Tirabocchi. Prima della sua impresa tutti credevano che le donne non potessero nuotare a lungo! (Cfr. p. 96)
Ogni singolo successo segnò un passo avanti: infatti, se Gertrude Ederle avesse rischiato di affogare avrebbero impedito per decenni alle donne di partecipare a gare. Le donne, come sempre, devono dimostrare di poter fare, non possono semplicemente provare e… fallire.
La prima maratoneta di cui si abbia notizia è la greca Stamata Revithi, che nel 1896 “partecipò” per conto proprio, percorrendo lo stesso percorso il giorno seguente. Terminò in 5 ore e trenta minuti. (Cfr. p. 103).
E proprio la maratona fu una di quelle competizioni a lungo interdetta dalle donne, perché considerate inadatte ad una impresa così faticosa.
Nel 1967 Kathrine Switzer per correre la maratona di Boston dovette persino convincere il suo allenatore, il quale non riteneva la maratona una gara possibile per una donna! Kathrine corse una maratona di nascosto per convincere il preparatore che la sostenne nell’iniziativa di gareggiare a Boston di nascosto.
A questa gara segreta partecipava anche il fidanzato, un atleta molto possente, che difese la maratoneta dalle aggressioni del giudice di gara, il quale voleva cacciarla con la forza. Una donna non doveva permettersi di partecipare ed era normale strattonarla e usare la violenza contro di lei, questo nel 1967!
Finalmente nel 1972 furono ammesse le donne alla maratona di Boston, ma per le Olimpiadi si dovette attendere il 1984.
Le donne non solo provarono di poter correre le medesime distanze degli uomini, ma dimostrarono di farlo meglio. È interessante ricordare quelle donne che batterono degli uomini, come Lis Hartel nell’equitazione che arrivò seconda alle olimpiadi di Helsinki. Lis Hartel soffriva anche di una disabilità, tanto che il primo arrivato, Henry Saint Cyr, la portò in braccio sul podio perché la donna aveva già perso la funzione delle gambe.
Ancora più interessante la storia di Zhang Shan, che vinse la competizione di skeet a Barcellona ’92. Una gara mista vinta da una donna. A causa di questo schiaffo morale, le donne furono interdette e la gara divenne solo maschile. Lo skeet femminile fu introdotto sono nel 2000, quindi la campionessa non poté gareggiare nel 1996. Una discriminazione intollerabile: impedire alle donne di partecipare con gli uomini se riescono a batterli.
Ovviamente si tratta di casi rarissimi, non tanto nell’equitazione, quanto in altre discipline, ma che non risultarono comunque accettabili. Questo ci ricorda non solo che le donne non dovevano partecipare, ma che anche l’eccellere era (ed è) altrettanto rischioso.