Le donne in Italia, fino al 1963, non potevano diventare magistrate: un’ingiustizia che fu combattuta dalle madri costituenti ma senza l’appoggio, se non parziale, degli uomini. A lungo l’uguaglianza, sancita dalla Costituzione, non fu effettiva, e questa assurdità non era messa in dubbio nemmeno dai più brillanti giuristi del Parlamento.
Nel libro di Eliana di Caro “Magistrate finalmente. Le prime giudici d’Italia” si ripercorre la storia dell’ingresso in magistratura e le biografie delle prime otto giudici.
L’autrice ricorda i protagonisti a favore e contro le donne magistrate. Personalità illustri come Giovanni Leone, futuro Presidente della Repubblica, che non era d’accordo con l’ingresso delle donne nella magistratura pur mantenendo una posizione prudente (del tipo i tempi non sono maturi), mentre altri brillanti uomini utilizzarono parole e pensieri che oggi, senza tanti giri di parole ma anche senza essere anacronistici, potremmo definire ridicoli.
Non era d’accordo Giuseppe Capi, futuro presidente della Corte Costituzionale, il quale affermò che «nella donna prevale il sentimento al raziocinio» (Cfr. p. 12), mentre altri arrivarono a parlare di aspetti biologici, come Giuseppe Codacci Pisanelli (giurista, più volte deputato e persino ministro) ed Enrico Molè. E sappiamo che tirare in ballo la biologia per impedire qualcosa a qualcuno significa considerarlo inferiore.
Ma nemmeno Croce o Pertini spesero parole a favore delle donne in magistratura, e l’avvocato Bruno Villabruna affermò che un corpo misto di magistrati avrebbe creato confusione, contrasto e una «giustizia bilingue». (Cfr. p. 15)
Giuseppe Maria Bettiol, giurista e politico, arrivò persino a scomodare San Paolo, il quale, secondo il Bettiol, non avrebbe approvato le donne magistrato, in quanto il silenzio si addice alle donne nelle Chiese e figuriamoci altrove come nelle aule di tribunale. (Cfr. p. 15)
Le Madri e i Padri Costituenti votarono in segreto, anche se le donne chiesero il voto pubblico. 153 voti contro le donne magistrato e solo 120 a favore (di cui quasi sicuramente 21 delle donne, visto che erano favorevoli).
Iniziò quindi una lunga lotta in diverse tappe.
Positivo e da segnalare fu il contributo di Aldo Moro che presentò un disegno di legge che includeva le donne nelle giurie popolari delle Corte d’Assise e dei Tribunali dei Minorenni. Fu promulgato nel 1956.
Aldo Moro fu pesantemente attaccato da Eutimio Ranelleti, Presidente onorario della Corte di Cassazione, che scrisse «il Ministro Moro – Segretario di Stato per la grazia e la giustizia – vuol passare … alla storia, col chiamare le donne alle funzioni giudiziarie, cioè con sacrificare la “Giustizia” alla … “grazia femminile”». (Cfr. p. 22). Il ministro Moro fu accusato di non conoscere le donne e di non avere un buon discernimento nel giudicare. La donna è fatua, leggera. (Cfr. p. 22).
Oggi, possiamo aggiungere: magari Aldo Moro fosse passato alla Storia per questo e non per altri fatti tragici!
Successivamente, nel 1958, tre laureate si rivolsero al Consiglio di Stato per contestare l’esclusione dal concorso per uditore giudiziario. Inoltre, nel 1959 Rosanna Oliva fece ricorso contro il Ministero dell’Interno e finalmente si aprirono le porte alle donne grazie alla sentenza 33 del 18 maggio 1960 e quindi alla Legge 66 del 9 febbraio 1963.
Questi passaggi e lotte permisero alle donne di partecipare al concorso: 186 candidati risultarono idonei, di cui 8 donne.
Per rendere più immediata la consultazione dei nomi si propone una tabella con le informazioni sulla famiglia e il luogo di origine.
Nome e cognome | Luogo di origine | Lavoro della madre | note |
Graziana Calcagno | Genova | maestra | Famiglia che teneva all’uguaglianza tra i figli |
Emilia Capelli | Milano | Avvocata civilista | |
Raffaella d’Antonio | Crema | Madre calabrese, figlia di magistrato. Donna molto indipendente | |
Giulia De Marco | Cosenza | Casalinga ma anche segretaria sezione femminile della DC | |
Letizia De Martino | Napoli | Casalinga, figlia avvocato. | Seconda classificata |
Annunziata Izzo | Agri (Salerno) | Mamma casalinga | Una delle poche a godere poca libertà e autonomia |
Adele Lepore | Benevento | Matrigna direttrice scolastica e giornalista. Donna indipendente | Quarta classificata |
Maria Gabriella Luccioli | Terni | Docente di lettere |
Tranne Annunziata (Anny) Izzo, queste donne vivevano una vita molto diversa dalle coetanee: avevano madri indipendenti, spesso con lavori importanti o comunque sostenute dalla famiglia di origine come la madre di Letizia De Martino che crebbe le figlie, dopo la separazione, nella casa del padre avvocato (quindi il nonno di Letizia).
Tutte le famiglie sostennero le ragazze, come il padre di Giulia De Marco che la spinse a lasciare la Calabria per avere maggiori opportunità.
Vediamo alcune parole e informazioni legate alle magistrate.
Gaetana Calcagno nel 2005 disse che non pensava di fare la magistrata, non si riteneva all’altezza. Cambiò idea «dopo aver conosciuto i colleghi maschi», che spesso erano arroganti e non le figure che si immaginava. (Cfr. pp. 49-50)
Letizia De Marco arrivò seconda nella classifica generale e aveva due bambini piccoli. Era una studentessa brillante ed oltre alla laurea in Legge vantava un diploma di assistente sociale. Alla prova orale eguagliò il primo classificato.
La quarta classificata Ada Lepore aveva una bambina piccola e riuscì a ritagliarsi le ore di studio chiudendosi in una stanza della sua casa. Fu sempre appoggiata dalla famiglia.
L’ingresso non fu certo roseo, e molte vennero umiliate pubblicamente da alcuni colleghi, soprattutto i più anziani. Graziana Calcagno ricorda un collega che negli anni ’80 si rifiutò di lavorare con lei, senza nemmeno conoscerla. L’essere donna bastava a renderla invisa. (Cfr. p. 55)
Ma le donne, come sempre (e come capita ai gruppi esclusi), con grinta e sopportazione, arrivarono a ottenere quello che per altri è un diritto scontato: poter accedere, avendo i requisiti, anche alla Magistratura.