L’opera di Valeria Palumbo “Non solo per me sola. Storia delle italiane attraverso i romanzi” è un prezioso contributo alla riflessione sul pericolo di un’unica storia, sul rischio di dare per scontato e reale ciò che in realtà è parziale come, per esempio, l’assenza di artiste e intellettuali donne nella storia italiana.
A tal proposito l’autrice ricorda che il canone dei libri e degli autori in Italia è quasi esclusivamente maschile e questo condiziona le nostre idee sul Paese. (Cfr. p. VII Introduzione) Tutto ciò non comporta solo una discriminazione arbitraria verso autrici di talento, ma anche il fatto che in questo modo le «le donne sono viste attraverso la lente, geniale, ma parziale di autori come Levi Tolstoj, Johann Wolfgang von Goethe o Gustave Flaubert». (Cfr. p. VII Introduzione) Questo dovrebbe chiaramente evidenziare come un racconto che esclude metà del genere umano non sia esaustivo.
Nell’opera di Palumbo si riportano statistiche, storia, personaggi, brani tratti dalla letteratura. Ci sono donne incoraggiate a scrivere dal fratello maggiore (Cfr. p. 12) come Maria Messina (1887 -1944), donne artiste come la virtuosa napoletana del mandolino Maria Calace, che nel 1924 suonò per l’imperatore del Giappone Hirohito e insegnò musica tutta la vita. (Cfr. p. 41) Ma anche Rosa Angela Caterina Genoni che «sarebbe diventata una delle pensatrici, imprenditrici e creatrici di moda più geniali della storia italiana». (Cfr. p. 48)
Quindi tutti nomi noti agli addetti ai lavori, che si vanno ad aggiungere a quelli delle autrici più note. Il tutto per ricordarci che le donne potevano e dovevano lavorare, ma si trattava dei lavori nei campi, nelle fabbriche, nelle case. Non erano invece accettati (e soprattutto venivano nascosti) i lavori più interessanti e graditi e soprattutto quelle che portavano le donne a muoversi liberamente. Se erano accettate “le piscinine”, bambine che lavoravano in città come Milano consegnando pacchi o altro da sole anche a sei anni, la stessa autonomia era mal vista in una donna adulta e capace di arrangiarsi.
Nonostante la volontà a dimenticare, è noto che Giuseppina Croci (1863 -1955) nel 1890 andò a Shanghai per sovrintendere al lavoro delle operaie locali in una filanda diretta da Daniele Beretta. (Cfr. p. 52)
Anche nell’urbanistica, nell’architettura e negli arredamenti abbiamo testimonianza di donne intraprendenti, che nonostante i limiti seppero farsi valere. Tra queste Piera Peroni (1929 – 1974), che nel 1961 fondò a Milano la rivista “Casa Novità”, diventata poi “Abitare”, che fu rivoluzionaria. Era una redazione a maggioranza femminile, che offriva la sua visione della città e della casa. Non oggetti ma luoghi di azione, da abitare. (Cfr. p. 129)
Altre architette a Milano diedero un contributo importante, una loro visione: Franca Helg, Cini Boeri, Gae Aulenti, Anna Ferrieri. (Cfr. p. 131)
Sono tutte donne che, come le scrittrici di cui si parla nell’opera, «hanno guardato, più che essere guardate»! (Cfr. p. 201)
Concludiamo con le parole dell’autrice Palumbo: «Se è inalterata la qualità letteraria di romanzi come Madame Bovary e Anna Karenina, non c’è però più ragione di pensare che descrivano tipi femminili “eterni” ed esaustivi. Se ancora si vuole scegliere lo sguardo maschile, ci sono molti altri personaggi a cui, per narrare il mondo e la realtà delle donne, ci si può ispirare. Per esempio, perché non Bathsheba Everdene di Via dalla pazza folla (1874) di Thomas Hardy, che alla fine ottiene ciò che vuole: il controllo della proprietà e l’uomo che davvero l’ama?» (Cfr. p. 201)
Le autrici, narrando un altro mondo, hanno rovesciato lo sguardo e il racconto (Cfr. p. 201). «In sintesi, la letteratura femminile ci ha mostrato che è possibile approdare a un lieto fine anche per le donne che rifiutano gli stretti binari della “normalità” e della “rispettabilità” borghese. E il fatto che tale scenario compaia poco tra i modelli letterari più citati è ancora più sorprendente (o indicativo), visto che perfino nella realtà storica italiana non sono mancati modelli in tal senso». (Cfr. p. 204)
Includere anche il punto di vista delle più significative rappresentanti della metà del genere umano può portare a «scrivere una storia plurale, più complessa, magari contraddittoria, ma senz’altro più completa. Le scrittrici l’hanno raccontata». (Cfr. p. 205)