Il femminismo decoloniale

Un libro che ci aiuta a riflettere su diversi aspetti anche scomodi è “Un femminismo decoloniale” di Françoise Vergès.

Si tratta di diversi temi che generalmente non vengono trattati in Italia, e che grazie a questa autrice possiamo conoscere ed approfondire. Vergès ci invita ad analizzare le questioni, non limitandosi alla superficie, considerando nelle nostre riflessioni anche lo schiavismo, il colonialismo, l’imperialismo e non solo il rapporto uomo/donna.

A tal proposito riporta le parole di Lilla Watson, attivista australiana autoctona, che afferma: «se siete venuti per aiutarmi, perdete il vostro tempo. Ma se siete venuti perché la vostra liberazione è legata alla mia allora lavoriamo insieme». (Cfr. pp. 29-30)

Un altro aspetto interessante trattato nell’opera riguarda la periodizzazione storica. Ad esempio, il secolo “dei Lumi” può apparire ben poco illuminato se guardato da un’altra prospettiva. Se guardato dal punto di vista della cultura africana e – aggiungiamo – dal punto di visto delle donne, non fu poi così luminoso. Infatti, i dati sulla tratta atlantica parlano chiaro: le persone vittime della tratta transatlantica nel XVII secolo furono 30/40.000 persone, mentre un secolo dopo furono deportati 70/90.000 africani. (Cfr. p. 41)

Queste sono analisi e spunti che ci aiutano a non guardare con i paraocchi la storia, e i fatti e ci aiutano ad allargare i nostri orizzonti.

Ma i fatti che deformiamo non si limitano a quanto sopra citato: un caso interessante è legato alla storia di Rosa Parks, che tendiamo a considerare una coraggiosa sarta che stufa dei soprusi e magari stanca decide di non cedere il posto sull’autobus al passeggero bianco.

In realtà Rosa era una militante, dietro a lei c’erano dei gruppi organizzati femminili e femministi. Rosa Parks partecipava alle iniziative ed era attiva. La sua non fu una iniziativa singola, in quanto nel 1955 era stato creato il WPC Women’s Political Council per mobilitare le donne di colore. E fu il movimento a lanciare l’idea del boicottaggio. (Cfr. p. 83) E sempre il Wpc marcia su Washington nel 1963. Così la figura di Rosa fu simbolicamente allontanata dalla comunità militante e ricordata singolarmente, dimenticando che era una attivista di lunga data e pure vicina ai comunisti neri. (Cfr. p. 84)

Ma tolto il radicalismo, molto mal visto negli Stati Uniti, dalla sua figura, a Rosa Parks fu dedicata una statua, e la risultante è stata la narrativa in cui Rosa si fa il simbolo di una coraggiosa signora stanca di doversi alzare in piedi, dimenticando però che il gesto non era dovuto alla stanchezza dei piedi, ma ad una vita intollerabile che cercava di cambiare, partecipando ad attività politiche.

Un ultimo aspetto “scomodo” e doveroso di una riflessione che ci presenta l’autrice, riguarda le persone che puliscono il mondo. Ovvero quelle persone che puliscono i luoghi di lavoro, le industrie, le stazioni e rendono possibile la gestione di ogni pratica quotidiana.

In Francia si tratta di addetti di colore (in particolare di donne) che svolgono lavori spesso malpagati e in orari scomodi. In Italia i lavori di pulizia e cura vengono svolti da indistintamente da persone di qualsiasi origine, questo perché la componente etnica è diversa. Per questo motivo riprendiamo la riflessione dell’autrice, che ricorda come senza il personale di pulizia e di cura, quindi donne di colore, il mondo si fermerebbe e non solo.

Senza chi pulisce le case, gli uffici, si occupa degli anziani o dei bambini non ci potrebbero essere nemmeno le pari opportunità, visto che la cura e la pulizia tendono ad essere attività sulle spalle delle donne! E se non ci fossero in casa, negli asili, nelle case di riposo le donne che si occupano della cura e dell’igiene tante persone – perlopiù donne stando alle statistiche – dovrebbero rinunciare al lavoro o rinunciare alla famiglia per il lavoro.