L’autrice finlandese Mia Kankimaki nell’opera “Le donne a cui penso di notte” racconta il suo ispirarsi a donne del passato e anche del presente, sottolineando come alcuni modelli femminili siano importanti per aiutarci ad affrontare i momenti di difficoltà. Per Kankimaki queste donne sono le sue “sante protettrici” in grado di indicare la strada da seguire. (Cfr. p. 9) Si tratta di persone che non hanno calcato le tradizioni, ma seguìto la propria passione, senza sottomettersi alle aspettative del loro tempo.
Tra le diverse ispiratrici di cui parla nel libro ne riportiamo tre: Isabella Bird, Ida Pfeiffer e Mary Kingsley. In comune hanno l’essere spesso malate e depresse nei loro paesi d’origine, e attive, avventurose e coraggiose mentre si trovano in viaggio in posti esotici o addirittura pericolosi.
Isabella Bird (1831 – 1903) era una donna affetta da diverse malattie, perlopiù psicosomatiche, che si manifestavano quando si trovava a casa in Gran Bretagna. Un giorno, per motivi di salute – ovvero uno dei pochi motivi concessi alle donne dell’epoca per viaggiare – si mise a viaggiare. E così la donna, che in Scozia viveva quasi da mezza invalida, in giro per il mondo riacquistò totalmente la sua salute e si trasformò in una donna molto avventurosa, tanto da fare 80 km al giorno a cavallo e avere una storia d’amore con un fuorilegge chiamato “Mountain Jim”. (Cfr. p. 183)
Isabella diventò famosa grazie ai libri e agli articoli che scrisse e così poté continuare a viaggiare: a 52 anni esplorò l’Himalaya e poi, da sola, attraversò Siria, la Turchia e l’Armenia. (Cfr. p. 201)
La sua fama la portò a ricevere un invito a cena dal Primo ministro britannico e ad essere presentata alla Regina Vittoria. Ricevette persino una onorificenza per il suo libro sulle Hawaii dal re delle isole Sandwich. (Cfr. p. 202)
Nelle varie avventure si ammalò di malaria e si fratturò anche un braccio (Cfr. p. 203), ma nulla, in viaggio, poteva fermarla. Era però anche vero che una dama dell’800 doveva sempre presentarsi come rispettabile e per questo motivo rinunciò alla relazione con il fuorilegge per frequentare sovrani e primi ministri.
Un’altra signora insospettabile che si dedicò ai viaggi fu la viennese Ida Pfeiffer, sposata, con figli grandi. Decise di andare in pellegrinaggio (altro motivo accettabile per un viaggio) e nel 1844 scrisse e pubblicò un’opera in modo anonimo con il necessario consenso del marito. (Cfr. p. 213)
Ida proseguì i suoi viaggi nascondendosi dietro lo schermo della modestia: nessuna o quasi nessuna di queste donne voleva essere tacciata di troppa intraprendenza.
Pfeiffer raccolse campioni botanici e fu così competente da annoverare il celebre naturalista Alexander von Homboldt tra i suoi ammiratori. Nel 1856 Humboldt la presentò ai reali di Prussia e successivamente Ida venne insignita di una medaglia per le sue conquiste in campo scientifico ed artistico. (Cfr. p. 217)
In Austria era una donna qualsiasi, mentre in viaggio nulla la fermò, nemmeno la malaria o il colera.
Ida era una donna del suo tempo e questo la obbligava a indossare sempre un abito lungo e una cuffietta. (Cfr. p. 222) Ma anche con una cuffietta addosso, non si lasciò intimorire dalle difficoltà. E non amava nemmeno spendere per viaggiare più comodamente. Anzi, dato che in generale non amava spendere, spesso riusciva a viaggiare a spese altrui e quando non ci riusciva – come quando dovette dirigersi da Bombay alla Penisola arabica e in Mesopotamia – comprava il biglietto più economico, ossia un posto sul ponte. (Cfr. p. 222). E in quella occasione dormì sotto il tavolo del capitano durante un attacco di febbre alta. (Cfr. p. 222)
Inoltre, prese la malaria e fece persino la conoscenza dei Daiacchi, noti tagliatori di teste, con cui Ida andò in realtà d’accordissimo. (Cfr. p. 225)
Infine, a Sumatra, quando la popolazione locale voleva mangiarla, lei la convinse a non farlo, semplicemente facendo ridere le persone! (Cfr. p. 227).
Sembra incredibile che una casalinga viennese in abito lungo e cuffietta potesse fare tutto questo nell’ 800.
Infine, Mary Kingsley, che per l’epoca era una “vecchia zitella”, lasciò la Gran Bretagna per viaggiare e andare in Africa dopo essersi occupata della famiglia fino all’età di 29 anni.
Di Mary sappiamo che in gioventù non ricevette alcuna istruzione formale, ma che imparò latino, fisica, chimica, matematica e biologia da autodidatta. Il suo primo viaggio la portò alle Canarie e poi raggiunse l’Africa. E se in Inghilterra aveva molti problemi di salute, in Africa la malaria non le fece quasi niente.
In viaggio nella giungla incontrò la missionaria scozzese Mary Slessor, che si trovava in Africa da una ventina d’anni e viveva da sola spostandosi tra i villaggi. (Cfr. p. 244)
Miss Mary attraversò fiumi in canoa, anche in mezzo a coccodrilli che allontanava con l’ombrello. (Cfr. p. 246) Durante il suo girovagare incontrò anche la tribù dei fang, noti cannibali che la ospitarono amabilmente. (Cfr. p. 248)
Grazie ai suoi viaggi in Africa, Mary scrisse libri, fece ricerche e scoprì nuove specie ittiche, mentre in Inghilterra era una zitella malaticcia che doveva fare la serva al fratello. (Cfr. p. 257)
Isabella, Ida e Mary: tre donne che in Europa erano annoiate, malate e prive di stima per loro stesse e che alla prima occasione dimostrarono come per le donne – di qualsiasi epoca – non esistono limiti né malattie che possano fermarle. E che le donne sono, e possono andare, ovunque.