Ella Maillart (1903 – 1997) fu una viaggiatrice, scrittrice, fotografa, velista, giocatrice di hockey e sportiva svizzera.
Nel suo libro “Crociere e carovane. La mia vita, i miei viaggi” racconta la passione per la vela, lo sport e i viaggi. Le prime avventure sono con l’amica Miette con la quale trascorre, sin da ragazzina, intere giornate in barca navigando i laghi svizzeri. Erano giornate piene di avventure ma anche di imprevisti, che insegnarono alle ragazze ad arrangiarsi. Una libertà che potevano godere grazie alle famiglie di mentalità aperta, benestanti e pronte ad incoraggiare l’autostima e l’autonomia anche delle bambine e ragazze.
Lo sport per Elle fu sempre importante: oltra alla vela si innamorò dell’hockey, tanto da cercare otto ragazze disposte ad acquistare una mazza e fondare il Champel Hockey Club. Vela e hockey non erano gli unici sport e passioni: era anche un’ottima ballerina capace di collezionare premi grazie alle gare di tango.
Venne persino selezionata per rappresentare la Svizzera alle Olimpiadi di Parigi del 1924, unica donna e la più giovane fra i vari rappresentanti a gareggiare sulla Senna.
Ma le avventure dovevano appena iniziare: a 21 anni, insieme all’amica Miette (Hermine de Saussure), Elle veleggiò per sei mesi lungo la costa meridionale della Francia, senza avere equipaggio in aiuto. Era una vita libera, l’idea giovanile di una vacanza continua.
La filosofia di vita di Ella era: è una cosa positiva? È un’esperienza che arricchisce la vita?
Una libertà che non ci immagineremmo possibile per una donna negli anni ’20, soprattutto se confrontata con l’esperienza dell’atleta italiana Ondina Valla, alla quale non fu permesso di partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932, in quanto il Papa riteneva l’atletica leggera uno sport poco adatto ad una fanciulla (insomma era preferibile starsene casa o nei paraggi).
Elle e Miette decisero di armare un equipaggio al femminile, e istruirono una studentessa di archeologia che chiamavano Patchoum. E un giorno con lei e la sorella di Mietta Yvonne andarono dalla Francia ad Atene, navigando per le varie isole.
Poi Miette si ammalò e non poté più viaggiare in barca, così Ella cominciò ad interessarsi ai viaggi via terra.
Prima si recò a Mosca, grazie all’aiuto economico della vedova dello scrittore Jack London, la signora Charmian London. E da Mosca verso varie zone del Caucaso.
Nel libro è interessante leggere le sue riflessioni sulle persone, sugli usi e costumi e sulle donne. Parlando di una famiglia della “Svanezia libera” (una regione storica della Georgia), di cui era ospite scrisse: «passavo il tempo ad ammirare i nostri ospiti: le alte donne vestite di nero, carnagione chiara e occhi dorati, si muovevano con una dignità che ricordava a tutti come vi fosse stato un tempo in cui erano loro a comandare». (Cfr. p. 64)
Ritornata in Svizzera, a Ginevra, tenne delle conferenze sulla Russia, ma fu accusata di far propaganda per i bolscevichi, questo perché non parlava di politica.
In viaggio verso il Kirghizistan, durante un’altra avventura, conobbe quattro persone, nello specifico due coppie formate da marito e moglie in viaggio per studiare nuovi itinerari, e li accompagnò per un po’ di tempo. Imparò, grazie ai nuovi amici, ad evitare offese gravissime nei confronti dei musulmani, come a non offrire salsicce e nemmeno menzionare alcuni alimenti.
Nelle aree della Mongolia vide l’abitazione tipica, la yurta, che era priva di chiodi e fondamenta. Un’opera di ingegneria di alto livello che scoprì essere costruita soltanto da donne, secondo l’usanza tradizionale. (Cfr. p. 89) Nonostante queste capacità e ruoli, le donne erano tutt’altro che fortunate anche se, in molte zone, la vita era migliorata. Sempre più donne cominciavano a guardare oltre i ruoli tradizionali.
Imparò che era meglio dire di aver lasciato il marito casa, impossibilitato per motivi di salute a proseguire il viaggio, piuttosto che dirsi nubile.
In Turkestan viaggiò senza né carri né portatori, nei modi più pericolosi e scomodi, che però le permisero di venire in contatto con la gente comune.
A Tashkent (Uzbekistan) visitò il circolo femminile e scoprì come convivevano donne giovani in gonna corta e donne più tradizionali velate. Conobbe anche una camionista di nome Marusja che era abilissima a guidare per le strade accidentate, e le presentò diversi colleghi e amici. Ma nonostante queste aperture la vita delle donne continuava ad essere dura.
Tornata in Svizzera Ella si dedicò anche allo sci, facendo parte della nazionale per quattro anni consecutivi. E nel frattempo teneva conferenze e mostrava le diapositive di viaggio per potersi finanziare nuovi viaggi.
Spesso ricordava di essere benestante, ma il suo stile di vita era possibile anche ad altre persone, infatti si manteneva con le conferenze e viaggiava sempre in terza classe, mangiando quello che trovava. Volendo era possibile una vita vagabonda anche senza molti denari, a patto di rinunciare a tutte le comodità.
Oltre alla bella e avventurosa storia, è interessante leggere le sue parole, come quelle che dedica ai viaggi solitari e alla sicurezza: «avere compagnia non mi entusiasmava, perché sono convinta che una donna indifesa in viaggio da sola in un paese difficile ha maggiori possibilità di cavarsela rispetto a chicchessia». (Cfr. p. 175)
A qualcuno potrebbe sembrare paradossale, invece essere donna poteva talvolta essere un vantaggio. Una donna non poteva essere pericolosa, non poteva essere una spia e veniva inoltre accolta in modo più benevolo da tutta la popolazione.
La vita delle viaggiatrici ci fa sognare, conoscere luoghi e anche riflettere su molti luoghi comuni. Sono vite che ispirano.