Nel 1981 il critico Giancarlo Vigorelli in “Tosatti. Le poesie e i diari” denunciava l’assenza ingiustificata della poetessa Maria Barbara Tosatti (1891 – 1934) nelle antologie, nelle storie della poesia italiana del novecento.
Tosatti con la pubblicazione nel 1932 di “Canti e preghiere” venne apprezzata dalla critica più esigente e da molti intellettuali e studiosi dell’epoca. Morta nel 1934 venne ricordata ancora per pochi anni per poi scomparire.
Forse la lirica di Tosatti non era allineata ai gusti dell’epoca?
Maria Barbara seguiva una strada diversa, addirittura opposta rispetto ai poeti suoi contemporanei. Ma, riprendendo il pensiero del critico Vigorelli, se la letteratura vale per le sue aperture a più direzioni, allora Maria Barbara Tosatti merita di essere riconosciuta.
La spiritualità e religiosità della poeta sono centrali nelle sue liriche. Qui riporto alcuni versi per avvicinarci all’anima di una donna molto riservata e sensibile che pubblicò le sue opere spinta dal padre e dal fratello.
Una donna che non cercava la ribalta e semmai si vedeva insegnante. Non celebre e celebrata poetessa.
—
Aprile 1930
Aprile, aprile che senz’orma passi
Nella mia vita ormai, ricordi quando
Anche per me giungevi di promesse
E di doni fecondo? quando un soffio
Tepido, quando un lembo
D’azzurro, ricolmavan d’allegrezza
L’anima mia? Ricordi, aprile, quando
Ad un lieve pensier d’amor l’ignaro
Mio cuore palpitava di dolcezza,
Come un ramo ancor tenero cui sfiori
Un augellino cinguettando? Oh giorni
Beati! ancor non avea rive, ancora
Non avea nome la speranza! oh aurora
Divina, allor che di bontà fiorire
Pareami e di letizia
Sui passi miei la terra!
Dove sei, dove sei, tumulto ardente
Di giovinezza che il mio cuore, gonfio
Di sogni e di desio, per infiniti
Spazi traevi, come quando il volo
Delle rondini in alto in alto il cielo
Solleva? dove sei, dove sei, pianto
Che sul mio cuor cadevi
Come una lieve pioggia sovra il suolo
Di primavera? e tu, trepido incanto
Che di grazia vestivi e di mistero
L’universo ai miei occhi? ahimè, chè brevi
Anni passati sono, e quell’ardore
Già nel mio cuor vien meno, e il mio pensiero
Si fa deserto, come il cielo quando
Muore la luce e rari,
Sempre più rari passano gli uccelli,
Muti, senza ricorrersi, cercando
Per la notte un rifugio … Anch’io, Signore,
Perdutamente contro l’ombra e il gelo
Asilo a Voi domando!
(…)
—
E infine una lirica della ventenne Maria Barbara, scritta nel 1912, e dall’autrice ritenuta non pubblicabile.
Quel ruscelletto rapido e selvaggio
Che mormorando verso ignote rive
S’invola, onde giammai
Della sua fresca e limpida corrente
Alcuno assaporar può la dolcezza,
Così tu, mia pensosa giovinezza,
Verso ignoto destin sdegnosamente,
Solitaria ten vai.
Ten vai tra vani sogni e oscura speme,
Alla vita che ignori ciecamente
Chiusa restando, e mentre
Anche l’umile arbusto che fra i sassi
Il passeger calpesta, nell’aprile
Di gemme si riveste lietamente,
Tu rigogliosa pianta senza fiore
E senza un frutto vanamente passi.
(…)