Emma Lazarus e La Statua della Libertà

Tutti conosciamo la Statua della Libertà e l’abbiamo vista almeno in foto. Un simbolo che veramente poco persone non riconoscono. Allo stesso modo anche la storia legata alla Statua della Libertà è abbastanza nota e facilmente reperibile, mentre pochi conoscono il sonetto, inciso sul piedistallo, scritto da Emma Lazarus nel 1883.

La conoscenza del sonetto potrebbe anche essere considerata da specialisti, appassionati di poesia, insomma solo per addetti ai lavori … invece il sonetto e le vicende ad esso legate rendono l’opera e l’autrice ben visibili e di interesse generale.

Emma Lazarus, americana di famiglia sefardita, vinse il concorso indetto per selezionare il poema da far incidere sul piedistallo, ma non vide mai né la Statua e tanto meno l’incisione. Nel 1886, quando fu inaugurata la Statua, Emma si trovava in Europa dove morì a causa di una grave malattia.

Una triste storia ma sicuramente con un lieto fine? Dopotutto l’artista sapeva che il suo sonetto sarebbe stato inciso e collocato al “suo posto”, anche se dopo la sua morte. Invece non ci fu il lieto fine, non subito, e il sonetto finì dimenticato, diremmo “in soffitta”.

Come spesso accade molte storie vengono dimenticate fino a quando non le riscopre uno storico, un artista, un intellettuale, un volenteroso. E molto spesso quando le dimenticate sono donne la riscoperta e il rinnovato interesse si deve ad una donna.

L’opera di Lazarus era destinata all’eterno oblio, almeno fino all’intervento di Georgina Schuyler.

Schuyler, compositrice e scrittrice, si batté tra il 1901 e il 1903 per veder collocata la poesia al posto che meritava.

E grazie a Georgina il sonetto di Emma fu inciso sulla lapide affissa all’interno del piedistallo; lapide che nel 1945 venne collocata sopra l’ingresso della statua.

Sono moltissime opere, soprattutto femminili, andate perdute; mentre tante altre molte sono in attesa di qualcuno che le riscopra come fece Georgina con il sonetto che riportiamo

Il Nuovo Colosso

Non come il gigante di bronzo di greca fama,

che a cavalcioni da sponda a sponda stende i suoi arti conquistatori:

Qui, dove si infrangono le onde del nostro mare

Si ergerà una donna potente con la torcia in mano,

la cui fiamma è un fulmine imprigionato, e avrà come

nome Madre degli Esuli. Il faro

nella sua mano darà il benvenuto al mondo, i

suoi occhi miti scruteranno quel mare che giace fra due città.

Antiche terre, – ella dirà con labbra mute

– a voi la gran pompa! A me date

i vostri stanchi, i vostri poveri,

le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi,

i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate.

Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste,

e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata.